L’osteonecrosi: la morte dell’osso

L’osteonecrosi, anche definita osteonecrosi asettica, è la morte delle cellule del tessuto osseo per mancata vascolarizzazione in una specifica area dello scheletrico. Si tratta a tutti gli effetti di un infarto dell’osso. Tra i distretti più colpiti dall’osteonecrosi ci sono le estremità prossimale e distale del femore con coinvolgimento dell’anca e del ginocchio.

É una patologia che può avere molteplici cause; le forme più frequenti sono quelle a genesi traumatica in cui i vasi sanguigni subiscono una interruzione o compressione.Le altre forme sono da ricondurre alle terapie con corticosteroidi e chemioterapici, all’abuso di alcool, altre ancora sono correlate a affezioni ematologiche e coagulopatie.

L’osteonecrosi inizialmente porta dolore accentuato dal carico e dalla deambulazione. Con il progredire della patologia può manifestarsi dolorabilità elevata anche a riposo per il verificarsi, nelle forme più gravi, di fratture locali con collasso della struttura scheletrica.

Infatti, sebbene si attivino i processi di riparazione mirati a rimuovere l’osso necrotico e a sostituirlo con tessuto vitale, l’alterazione strutturale dettata dalla malattia in molti casi non si arresta e l’infarto collassa gradualmente.

Poiché l’osteonecrosi colpisce la parte finale delle ossa lunghe, la superficie della cartilagine articolare sovrastante l’area necrotica diventa irregolare a seguito del collasso e porta rapidamente alla degenerazione dell’articolazione.

Come diagnosticare l’osteonecrosi

I pazienti affetti da osteonecrosi possono avere sintomi per lungo tempo prima che la patologia venga diagnosticata. Il dolore crescente comporta una difficoltà a compiere gesti quotidiani e “normali” fino a poco tempo prima. Tale difficoltà può talvolta costringere all’impiego di ausili per camminare. L’osteonecrosi dell’anca provoca dolore all’inguine che si può irradiare lungo la coscia o al gluteo. Si instaura progressivamente una limitazione dei movimenti e l’andatura diventa claudicante.

L’osteonecrosi del ginocchio solitamente provoca dolore improvviso senza precedenti traumi; l’area più spesso coinvolta è il comparto interno dell’articolazione. Possono verificarsi effusioni sinoviali e versamento persistente. La diagnosi di osteonecrosi può essere spesso difficile da eseguire e necessita di un elevato indice di sospetto. Nella fase iniziale della malattia, che è la più importante per avere successo con le terapie, l’esame radiografico può trarre in inganno.

Le radiografie possono non rivelare anomalie per mesi. Inizialmenre si evidenziano aspecifiche aree localizzate di sclerosi e trasparenza. Solo in fase successiva si notano il collasso strutturale e le alterazioni degenerative articolari più avanzate.

La Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) è l’esame maggiormente affidabile per fare diagnosi precoce. Decisamente più sensibile e più specifica della radiografia, la RMN consente di identificare la malattia nelle prime fasi e definirne l’estensione.

La terapia conservativa e la chirurgia dell’osteonecrosi

Esistono diverse strategie terapeutiche per l’osteonecrosi; si distinguono approcci conservativi e trattamenti chirurgici. L’aspetto più importante della cura è la tempistica: un trattamento effettuato nei primi stadi ha infatti molte più probabilità di essere efficace rispetto a interventi più tardivi.

Nelle fasi iniziali dell’osteonecrosi i trattamenti conservativi possono riuscire a rallentare la progressione della malattia, ma solo se instaurati all’esordio dei sintomi. Pochi approcci non chirurgici hanno mostrato risultati promettenti negli studi: tali strategie di cura comprendono i farmaci, principalmente i bifosfonati, e terapia con mezzi fisici basata sui campi elettromagnetici. Nelle forme avanzate nessun trattamento non chirurgico completamente efficace è ancora disponibile.

Per quanto concerne il trattamento chirurgico, sono stati descritti diversi approcci in relazione al grado di malattia. Tuttavia non tutte le tecniche risultano spesso bilanciate da un grado di efficacia adeguato e condiviso.

La tecnica mini-invasiva di core-decompression consiste nella creazione di un canale nell’osso tramite apposite frese al fine di favorire l’irrorazione sanguigna del tessuto malato. Ideata per gli stadi intermedi della patologia, può provocare indebolimento della struttura scheletrica.

La medicina rigenerativa trova applicazione a completamento e integrazione della chirurgia mini invasiva. Lo stimolo di rigenerazione dei tessuti del corpo umano è attuato mediante l’introduzione di cellule mesenchimali staminali o fattori di crescita ottenuti con prelievi dal paziente stesso.

L’artroplastica protesica o protesizzazione articolare è il trattamento di scelta nelle forme avanzate; consiste nella sostituzione, parziale o totale, dell’articolazione danneggiata con materiale artificiale.

Circa il 7-8% delle protesi sono impiantate su esiti di osteonecrosi.

Per i casi più avanzati di distruzione e collasso articolare rappresenta l’unica opzione terapeutica validata e efficace.